Inviato da Claude Beaunis il 10/04/12 – 16:15

Un intervento di e un’intervista a Heichi Murata
L’EDUCAZIONE IN GIAPPONE, SEMPRE PIU’ REAZIONARIA
E’ solo da otto anni, nel 2002, che la settimana di cinque giorni dal lunedì al venerdì è stata istituita nelle scuole pubbliche giapponesi. Non c’era però nessuna riflessione pedagogica al riguardo da parte del ministero dell’educazione nazionale. Obbligato a rispondere all’opinione internazionale che critica le ore di lavoro troppo lunghe in Giappone, il governo giapponese ha introdotto poco a poco la settimana di cinque giorni per i propri funzionari. In questo contesto, era necessario dare un giorno di riposto supplementare anche agli insegnanti.
Dapprima è stato chiuso un sabato al mese, poi due....Ci sono voluti dieci anni per l’installazione completa della settimana di cinque giorni nella scuola. Durante questo percorso, gli insegnanti incontravano parecchie difficoltà per svolgere il loro lavoro. Il governo esigeva lo svolgimento completo del programma previsto con l’apertura di sabato pur diminuendo i giorni di scuola. In assenza di una revisione del programma, si era obbligati ad aumentare le ore giornaliere di scuola e ad eliminare eventi importanti come le visite di genitori a scuola, le mostre, ....
Con la completa introduzione della giornata di cinque giorni nel 2002, il numero di giorni di scolarità annuali è diminuito da 240 a 200. In queste condizioni, l’educazione nazionale è stata costretta ad alleggerire i contenuti del programma. Tale fatto ha stimolato una discussione su una nuova visione della conoscenza e sulla valutazione.
Fino ad allora, l’educazione in Giappone era basata sull’acquisizione di una grande quantità di conoscenze, calcolata in rapporto alle prove d’esame per l’accesso all’Università o al liceo. Ma le conoscenze apprese a memoria svaniscono dopo l’esame. Ancora peggio, un tale modo di educare serve solo a formare alunni docili al riempimento forzato del cervello. Anche nell’ambito del governo, c’erano delle opinioni favorevoli alla nuova visione.
Invece di insistere sull’acquisizione di nozioni e di tecniche, si progettava di stimolare l’interesse e l’attitudine all’apprendimento, la capacità di riflessione, l’abilità nel risolvere problemi. Questo piano era denominato “Nuova visione delle conoscenze” e si è deciso di formulare dei nuovi programmi basati su una tale visione. Si è altresì introdotto il principio degli ‘studi globali’, tali da superare il quadro definito delle materie. Per dare impulso alla loro applicazione, si è insistito sul fatto che il ruolo dell’insegnante non è quello di dirigere gli alunni ma di aiutarli.
Questa “innovazione”, avviata nel 2002, si è immediatamente messa a girare a vuoto. Gli insegnanti hanno ben presto scoperto che l’eliminazione del 30% dei contenuti dei programmi non era accompagnata da alcuna riorganizzazione delle materie: era una pura e semplice sottrazione. Per loro, a cui era stato chiesto di passare dal ‘dirigere’ all’’aiutare’, non veniva organizzato nessun corso o sistema di formazione per aiutare loro nella realizzazione del cambiamento. Improvvisamente si è diffusa un’altra opinione autorevole che affermava che il nuovo sistema non avrebbe avuto come conseguenza che l’abbassamento del livello di preparazione.
C’era chi criticava l’abbandono dell’apprendimento a memoria.
Secondo loro, l’evoluzione che favoriva la capacità di riflessione invece che l’accumulo di conoscenze doveva per forza sfociare in una dequalificazione. Uno dei loro argomenti forti era i risultato delle prove PISA dell’OCDE. Se si guardano i risultati dei bambini giapponesi in questi test nel 2000 ( partecipavano 31 paesi) e nel 2006 ( partecipavano 57 paesi), c’è un calo dal 1° al 10° posto in matematica, dal 2° al 6° in scienze, dall’8° al 15° in lettura.
Se confrontiamo gli altri paesi che partecipano alle RIDEF, vediamo che in matematica la Francia scende dal 10° al 23°, la Spagna dal 23° al 32°, l’Italia dal 26° al 38°; in scienze la Francia dal 12° al 25°, la Spagna dal 19° al 31°, l’Italia dal 23° al 36°; in lettura la Francia dal 14° al 23°, la Spagna dal 18° al 35°, l’Italia dal 20° al 33°. La sola eccezione è costituita dalla Germania, per la quale la tendenza è in ascesa: in matematica dal 20° al 20°, in scienze dal 20° al 13° , in lettura dal 21° al 18°. Osa può essere successo in Germania in quel periodo tale da spiegare un tale incremento?
Io non so come reagiscono gli altri paesi ai risultati dei test PISA. Ma in Giappone, pur rimanendo abbastanza in alto nella classifica, c’è chi è estremamente angosciato dalla tendenza alla discesa.
E come rimedio alla situazione, si tenta di tornare all’educazione tradizionale attraverso diverse modalità, come, ad esempio, la valutazione nazionale del livello e la sua pubblicizzazione con lo scopo di rinforzare la competitività, la diminuzione del numero di ore dedicate agli studi globali a favore delle discipline tradizionali, il ripristino della scuola al sabato, ecc. Naturalmente, la pressione esercitata da queste misure reazionarie esercita un forte peso sugli insegnanti peggiorandone le condizioni di lavoro e rafforzando il controllo sul loro operato. Essi non possono nemmeno più disporre liberamente delle loro vacanze estive. Finora gli insegnanti giapponesi potevano partecipare numerosi alle Ridef, ma all’ultima in Francia ben pochi colleghi hanno potuto intervenire. Anche questo è un effetto della situazione dell’educazione in Giappone sempre più reazionaria.
Mi piacerebbe porre ai colleghi dei diversi paesi la domanda: ‘Come reagite alla pressione esercitata su di voi impiegando l’espressione “abbassamento del livello?”.
In merito ai test PISA, c’è evidentemente un miglioramento in rapporto agli altri test che si accontentavano di misurare quantitativamente le conoscenze accumulate. Ma ciò che noi cerchiamo di realizzare con i bambini quotidianamente e che consideriamo essenziale per la loro formazione non è in generale traducibile in cifre. Io penso che molti fra di noi esitano a quantificare delle cose che non sappiamo esprimere con dei numeri. Certamente, ci sono degli aspetti quantificabili. Ma non si può giudicare la qualità globale del nostro lavoro riducendola a una parte cifrata. Come liberarsi dall’ossessione onnipresente del “livello delle conoscenze” espresso in cifre o in ranghi, è un temasempre piu importante per noi. Eichi Murata