La pédagogie populaire au Japon ( interview de Murata par R. Rizzi en 1996)

Inviato da Luis Ricardo il 10/04/12 – 16:20

LA PEDAGOGIA POPOLARE IN GIAPPONE
Intervista di Rinaldo Rizzi a Eiichi Murata
Eiichi Murata è un maestro giapponese che attualmente esercita un’attività giornalistica. All’inizio degli anni ’80 arrivò a Barcellona per imparare lo spagnolo ed entrare, così, in contatto diretto con l’Europa. Attraverso il gruppo ‘Rosa Sensat’ si mise in contatto con Mario Lodi e, tramite lui, con Rinaldo Rizzi, partecipando grazie a questi contatti alla Ridef di Torino nel 1982 e, successivamente, visitando a più riprese la scuola a tempo pieno di Pieris (Go) dove insegnava Rizzi. Successivamente, condusse diverse delegazioni di insegnanti giapponesi in visita ad altre esperienze scolastiche italiane di insegnanti MCE ( a Venezia, Verona e in altre città).
Eiichi ha partecipato a tutte le Ridef successive, sempre con altri insegnanti giapponesi, allo scopo di costituire in Giappone un movimento della pedagogia Freinet. Ha pubblicato resoconti sui suoi contatti ed esperienze in Europa per far conoscere la nostra realtà sociale ed educativa. Nel suo paese ha pubblicato diverse opere dedicate alla FIMEM e alla Ridef. E’ l’ organizzatore della XXII Ridef del 1988 in Giappone.
R.R. Da quando ci siamo conosciuti nel 1982 a Torino sono trascorsi oltre tre lustri e ci siamo incontrati in varie occasioni in Italia e alle Ridef, ma in particolare durante le tue visite a scuola accompagnato da gruppi di insegnanti. Possiamo dedurre che anche in Giappone è nata la ‘cooperazione educativa’?
E.M. Gli insegnanti che incontro alle Ridef mi chiedono frequentemente quanti educatori in Giappone seguono la ‘pedagogia Freinet’. Questa domanda mi sconcerta sempre un po’, perché non so rispondere. Sono pochissimi quelli che si presentano come autentici ‘maestri delle tecniche Freinet’, mentre sono moltissimi quelli che insegnano seguendo le idee basiche di Freinet e che si riuniscono in un unico movimento.
R.R. Puoi chiarire?
E.M. Freinet rifiuta l’autoritarismo ed esige di rispettare la libertà di espressione dei bambini e di stimolare in loro lo spirito cooperativo tramite la creatività. Mi pare però che non sia coerente raggruppare tutti sotto la denominazione semplificatrice di ‘setta dei freinetiani’. Mi sembra che ciò si possa dire anche del MCE per quanto ho potuto leggere e vedere nei miei contatti. Si è preso di Freinet, più che le tecniche, lo spirito sociale e pedagogico che lo animava, sviluppando creativamente una propria via di sperimentazione didattica e di ricerca educativa.
R.R. Puoi descriverci la situazione pedagogica nel tuo paese?
E.M. Sarà bene tracciare una breve storia della nascita e dello sviluppo del movimento di ‘pedagogia popolare’ in Giappone per comprendere la situazione attuale e il nostro ingresso e i potenziali contributi, non solo sul piano dell’organizzazione e della quantità, nell’ampio e variegato
filone internazionale della FIMEM. All’inizio degli anni venti, quando Freinet iniziò la sua pratica didattica e avviò la costruzione del suo movimento, è evidente in lui l’influenza della pedagogia delle ‘scuole nuove’ nata in Europa. Più o meno nello stesso periodo, nasce anche in Giappone un movimento pedagogico libertario. Fin dagli inizi il Giappone, che storicamente si colloca fra gli stati moderni con molto ritardo, impose nell’insegnamento una forte impronta di nazionalismo e di militarismo, non solo come risposta alla tradizione storica autoritaria della società giapponese, ma anche per porsi rapidamente e a tappe forzate alla pari con i paesi economicamente e militarmente sviluppati. Nonostante una situazione così difficile, alcuni insegnanti e artisti si convertirono in animatori di una corrente pedagogica rivoluzionaria, influenzati dalle nuove correnti pedagogiche europee e statunitensi, come pure dalla spinta liberatrice della rivoluzione russa, manifestandosi apertamente contro la politica scolastica ed educativa giapponese. Verso il 1910 era altresì nato in alcune scuole elementari annesse alle facoltà di magistero e in alcune scuole private un movimento anteriore contrario al clima imperante. Questo humus vitale, specifico e originale, precedette e alimentò la nostra ‘rivoluzione pedagogica’.
La scuola della ‘città dei bambini’, fondata a Tokio nel 1924 e a Kobe nel 1925, fu un’esperienza scolastica molto viva e avanzata che dedicava totalmente le materie, i materiali, le aule e il tempo alla libertà responsabile dei bambini. Esperienze simili si svilupparono a Nara, a Chiba e in altre scuole annesse ai magisteri. Tuttavia furono esperienze che rimasero limitate a grandi città e a scuole private. Così si spensero sotto la pressione del fascismo e del tenoismo 1 che prendevano sempre più terreno nella società giapponese. Nonostante ciò, i movimenti pedagogici proletari e scientifici, pur se in un clima di difficoltà e di resistenza, continuarono a operare. Tra queste esperienze, quella che più prese piede in tutta la nazione fu il movimento del Seikatsu Tsuzurikata
( componimento della vita, testo libero) che si sviluppò e concentrò nella durissima realtà dei villaggi negli anni 20 e 30.
Nella vita sociale di allora, dominata dalla povertà e dal convenzionalismo, questo movimento cercava di aiutare i bambini a guardare la vita reale e a sviluppare la loro individualità. I bambini avevano perduto la voglia di studiare perché erano obbligati a leggere i testi approvati dallo Stato e a scrivere su di essi. Invece tale movimento chiedeva ai bambini che si esprimessero con ‘parole della loro vita reale’ e rifiutava duramente l’uso di espressioni e forme di parlare antiche, stereotipate e fatte di parole astratte, senza un senso autentico in merito alle loro esperienze di vita quotidiana. Perciò, nello stesso periodo, anche in Giappone si stavano sperimentando, più o meno, alcune tecniche analoghe al ‘metodo naturale’ proposto da Freinet: testo libero, uso del ciclostile a scuola, corrispondenza interscolastica. Però, come in Spagna e successivamente in Francia, le esperienze di Freinet e dei suoi compagni furono distrutte dal fascismo, anche qui tutti gli insegnanti che appartenevano al movimento Seikatsu Tsuzurikata furono arrestati ed espulsi dalle scuole.
R.R. Durò molto questo clima repressivo?
E. M. Nel 1945, l’imperialismo giapponese vide la fine con la sconfitta bellica dell’Asse Tokio-Berlino-Roma. Si riaprì la possibilità che anche in Giappone la scuola potesse ricostruirsi su basi democratiche. Per iniziativa delle forze di occupazione, si importò il metodo di insegnamento dell’”attivismo” e dell’empirismo, mediante gli aderenti al New Deal, come John Dewey.
Tuttavia, il nostro paese non possedeva le condizioni necessarie perché la base docente assimilasse la nuova linea pedagogica. D’altra parte, nonostante il militarismo e il tenoismo, le abilità di base ( leggere, scrivere, far di conto), che si proponeva di far acquisire la scuola tradizionale, avevano raggiunto livelli abbastanza elevati. Per cui, si rifiuta la nuova proposta attivistica e si afferma che ‘ il nuovo metodo avrebbe abbassato il livello di capacità’ degli alunni
1 Il ‘tenoismo’ è una manifestazione culturale e sociale specifica della storia dell’Estremo Oriente e, in particolare, del Giappone. Ha le sue radici e la sua ragion d’essere nella tradizione imperiale e nel carattere ‘celeste’ del sovrano.
giapponesi. Inoltre è il periodo in cui nasce il conflitto/confronto tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che ha caratterizzato il clima mondiale di ‘guerra fredda’ del dopoguerra. Fu così che in Giappone il processo di democratizzazione venne imbavagliato e, a fronte dei tentativi di innovazione, si optò per la reazione. Durante questa fase di nuova resistenza per la democratizzazione educativa, el metodo del Seikatsu Tsuzurikata costituiva un patrimonio pedagogico autoctono che andava valorizzato e riabilitato, come proposta giapponese peculiare per il rinnovamento pedagogico nel nostro paese. Successivamente, nacque un movimento che si propose di redigere per proprio conto dei testi nuovi per ogni disciplina. Fino a quel momento, l’attenzione degli insegnanti era concentrata sul pensare a ‘come insegnare’; si iniziò allora a scoprire un nuovo campo, ‘cosa insegnare’. Su questi aspetti si costituì fra di noi un movimento pedagogico popolare. Nel dopoguerra in Giappone esplose un autentico conflitto tra il Ministero dell’istruzione pubblica, che controllava la pedagogia per mezzo dei finanziamento e delle leggi statali, e il sindacato giapponese degli insegnanti, strettamente connesso con la crescita di un movimento pedagogico popolare. Il conflitto proseguì irrisolto fino a metà circa degli anni 60.
R.R. Quali furono le cause della rinascita pedagogica?
E.M. Sullo sfondo di una economia ad alto tasso di sviluppo, come arrivò ad essere quella giapponese, il movimento pedagogico popolare poté continuare a progredire costantemente, nonostante gli ostacoli posti dal Ministero, che intendeva mantenere una politica scolastica caratterizzata da un rigido controllo centralistico. Le principali attività del movimento si concentrarono nella creazione di nuovi libri di testo, sebbene ci fossero tendenze a lavorare su un determinato terreno didattico specifico. Tuttavia va segnalato che l’impegno innovativo si centrava su ciò che ‘si insegna’ e, di conseguenza, non si prestava molta attenzione alla didattica, cioè ai modi e alle condizioni in cui si educano i bambini.
R.R. E oggi?
E.M. Oggi, nel tumulto della competitività per la promozione sociale, è aumentata, anche se con nuove condizioni, la situazione di marginalizzazione della considerazione dei bambini come persone, lasciandoli nelle condizioni passive di ‘essere insegnati’ 2
Così, come forma di reazione spontanea ai maltrattamenti degli adulti, aumentano i casi di suicidio e le resistenze a frequentare la scuola. E’ nata quindi una reazione e una rivendicazione infantile ‘silenziosa’ che chiede una diversa condizione formativa, non fissata miopemente solo sui risultati degli esami e sull’adattabilità dei soggetti. Credo anche di dover ammettere che anche il nostro movimento pedagogico popolare, concentrato sull’’insegnare’, sulla pratica della trasmissione, anche se di nuovi contenuti, si è tradotto, pur se non intenzionalmente, in un aspetto della politica dello Stato.
R.R. Questa ribellione infantile, che qualifichi eufemisticamente come ‘silenziosa’, ha delle ripercussioni nel mondo pedagogico giapponese?
E.M. Questa rivolta, nata con forza dall’atteggiamento di molti bambini, ha posto il problema di considerare criticamente la forma dell’’educare’ e la necessità di cambiare la condizione formativa, cioè la relazione educativa. Questa nuova coscienza critica ha posto le basi per la ricerca, al di fuori del Giappone, di esperienze alternative all’insegnamento puramente trasmissivo. Ne è così nata la curiosità e l’attenzione verso il ‘movimento internazionale dellap pedagogia Freinet’. Da questa esigenza e da questa volontà di innovazione educativa scaturisce la nostra proposta di una Ridef 1998 in Giappone.
R.R. Qual è il vostro problema attualmente?
E.M. La nostra questione fondamentale è costituita da come rispondere al carattere specifico del nostro paese, cercando di intrecciare l’esperienza accumulata dal movimento di rinnovamento
2 Un quadro più completo della situazione mortificante dell’educazione di contro all’autonomia dei bambini in Giappone nell’articolo di Murata ‘Un’esperienza di scuola in Giappone’ (Cooperazione Educativa, 7-8/1982)
pedagogico giapponese con i risultati ottenuti dalla pedagogia Freinet. Gli insegnanti che partecipano al gruppo di studio che organizza l’attuale ‘movimento di pedagogia popolare’ e i docenti che partecipano ai seminari organizzati dal sindacato scuola giapponese sono, attualmente, più di diecimila. Essi manifestano oggettivamente una comunione spirituale con la pedagogia Freinet nellal oro aspirazione a riconoscere i diritto reale di cittadinanza ai bambini, convertendoli in protagonisti reali del loro processo educativo. Però non possiamo dire che l’opposizione alla pedagogia tradizionale corrisponda necessariamente all’applicazione delle tecniche Freinet in senso stretto. Per questo non pretendiamo di costituire una ‘setta Freinet’ ed è difficile rispondere alal domanda: ‘quanti insegnanti Freinet ci sono in Giappone ?

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